"Ogni bambino è diverso e impara ciò che ama", così la fotografa sintetizza questa filosofia popolare in Israele che non si basa su un curriculum scolastico predefinito, ma sull’interesse del bambino. Fino ai 7 anni lei e i suoi fratelli sono stati lasciati liberi di giocare come volevano poi hanno seguito questo metodo che lei ci spiega anche attraverso le sue foto
Julia Gat, 25 anni, fotografa, autrice delle immagini pubblicate in queste pagine, è nata in Israele ma vive in Francia. Lei e i suoi quattro fratelli hanno avuto un’educazione davvero inusuale. I genitori, un’artista e un coreografo, hanno seguito l’unschooling, una filosofia popolare in Israele che non si basa su un curriculum scolastico predefinito, ma sull’interesse del bambino. Fino ai 7 anni lei e i suoi fratelli sono stati lasciati liberi di giocare come volevano, poi hanno seguito un programma di attività deciso di anno in anno e di settimana in settimana e intorno ai 14 anni hanno iniziato a specializzarsi.
Da quando aveva 13 anni Julia ha mostrato un desiderio intenso di fotografare e Khamsa, Khamsa, Khamsa, il nome di questo progetto, racconta l’atmosfera fiabesca di questa famiglia. Khamsa in arabo è il 5 – come il numero dei fratelli Gat – ma anche la mano di Fatima, l’amuleto comune nel Medio Oriente. Ripetuta tre volte forma un cerchio magico che tiene lontano il malocchio. Ora i suoi lavori sono in mostra alla Galerie Huit Arles e Les Rencontres D’Arles, fino al 25 settembre.
Che cosa si fa durante il giorno in una unschool?
«Disegno, pittura, ceramica, circo, danza, cavallo, sport e tante altre cose che in una scuola normale si fanno dopo la scuola. Io ero la più grande e mi prendevo cura dei miei fratelli. Ovviamente abbiamo anche imparato a leggere e scrivere, ma ognuno di noi a un’età diversa. Io verso i 3-4 anni, uno dei miei fratelli verso gli 8-9. C’erano anche momenti vuoti, di noia e allora dovevamo decidere che cosa fare. Si accendeva così la scintilla. Questo ci ha responsabilizzato. È stato un percorso di iniziazione che ha richiesto molta fiducia nei ritmi di ciascun bambino: se desidera imparare qualcosa, vuol dire che ne ha davvero bisogno».
Come è diventata fotografa?
«Con due genitori artisti era difficile non seguire le loro orme. C’erano sempre macchine fotografiche in giro per casa e ho iniziato prestissimo a scattare i miei fratelli. Quando a 13 anni ho detto a mia madre che avrei fatto quello, lei mi ha spronato ad aprire un blog che è diventato un archivio di quello che facevo. Ho preso la cosa sul serio e col tempo ho partecipato a workshop, internship, ho lavorato in gallerie».
Com’è stato il passaggio all’università?
«Onestamente non difficile. Ho fatto Arts and Humanities alla Open University e poi, a 21 anni, ho studiato arte all’Academy di Rotterdam per tre anni».
Le è mancata la scuola tradizionale?
«L’ho frequentata per un anno, ma mi sono resa conto che non faceva per me. È come se si chiedesse a un elefante, una scimmia e un pesce di arrampicarsi su un albero e poi li si giudicasse su quello. Non siamo uguali, non funzioniamo alla stessa maniera, ma tutti possiamo contribuire in modo diverso alla nostra società».
Dopo essersi trasferita in Francia da Israele con i suoi 4 fratelli, Julia Gat ha studiato in casa parlando ebraico, inglese e francese. 10 anni fa, ne aveva solo 15, ha iniziato Khamsa Khamsa Khamsa, il progetto fotografico da cui sono tratte le foto presenti in questo articolo.